Come sapete i post pubblicati su L’Espresso non sono più accessibili. Per questo motivo io tornerò a pubblicarne, con una certa regolarità, alcuni meritevoli, spero, di essere ancora letti.
Il post di oggi ne è un esempio.
Chiedo scusa alla favola antica, se non mi piace l’avara formica.
Io sto dalla parte della cicala che il più bel canto non vende, regala.
Così scriveva Gianni Rodari, maestro di vita e di buoni sentimenti.
Anch’io voglio chiedere scusa se torno a ripetere le mie litanie che in qualche modo sono ispirate dai versi di Rodari. Come sapete le persone anziane amano ripetersi ma – asseriva il grande Hillman – non lo fanno perché sono rimbambite ma perché sentono il bisogno di comunicare agli altri, soprattutto ai giovani, ciò che credono di aver imparato.
Osservando con attenzione le vicende dei nostri giorni sono – l’ho già detto – sempre più triste.
Trovo compagnia nell’articolo di Claudio Magris che, illuminato, cita una frase che mi sembra davvero attuale.
La frase è di Karl Valentin, il cabarettista amato da Brecht e che ebbe una influenza significativa sulla cultura al tempo della Repubblica di Weimer. Suona così:
“Die Zukunft war früher auch besser “.
Potremmo tradurre “Una volta il futuro era migliore“.
Proprio questa è la causa della mia tristezza.
Come scrive Claudio Magris, il futuro di cui parla il grande Komiker, maestro di quel cabaret che è la vita, è il grande futuro:
“Il futuro dei profeti biblici sempre in cammino verso una terra promessa. Nei suoi momenti più alti la Storia umana è stata animata del senso di questo cammino, dall’esigenza di una vita migliore, più giusta, più libera dalla violenza, dalla tirannide, dalle sordide diseguaglianze, dalla fame, dalla miseria, dalla sofferenza, dallo sfruttamento. […] Mosè sapeva che non avrebbe mai messo il suo piede nella Terra Promessa, ma non smise di camminare e di guidare il suo popolo nella sua direzione. […]. Sino a pochi decenni fa la storia e la politica erano animate, pervase, da questa tensione. Si parlava di libertà, della necessità di difenderla di allargarla, di ingiustizie da sanare, di oppressi da liberare“.
Naturalmente non siamo così ingenui da non sapere quanti infingimenti, quanti inganni, quanti misfatti, quante tragedie sono stati perpetrati sotto la maschera di queste idee.
Ma conclude Magris:
“L’utopia quale progetto di un mondo migliore per tutti e quale compito di correggere i propri errori è il sale della terra. È questo sale che manca al nostro mondo scipito, che sembra aver distrutto il futuro nonostante gli incredibili progressi della sua tecnologia e i sogni di immortalità“.
Questa nostra misera politica il cui scopo sembra soltanto quello di conservare i nostri privilegi, immemore “dei milioni e milioni di umiliati ed offesi che vivono sofferenze innominabili e muoiono nel buio di devastazione e ingiustizia” mi appare meschina e crudele.
L’uomo non può vivere senza l’utopia di un grande futuro.
Non a caso Faust nell’immortale opera di Goethe dice a Mefistofele:
“E cosa vuoi darmi tu povero diavolo? Lo spirito d’un uomo nella sublime ricerca poté mai essere compreso da un par tuo? Hai tu cibi che mai non saziano, […] hai il giuoco a cui non si vince mai […] Se mai verrà il momento in cui io, appagato, mi adagi sul letto del riposo, la sia tosto finita per me! Se lusingandomi potrai così illudermi che io mi compiaccia di me stesso, se coi godimenti potrai così ingannarmi – sia quello il mio ultimo giorno!”
Goethe lavorò al Faust per sessant’anni: l’opera rischiava di rimanere incompiuta perché (almeno così mi piace pensare) il poeta non riusciva a trovare un motivo di salvazione per Faust e quindi per l’umanità ch’egli rappresenta. Alla fine lo trova nello streben (qui verbo).
Il sostantivo Streben (anelito, azione tesa ad una meta superiore) si contrappone a Genuss (godimento, il crogiolarsi in uno stato di benessere che arresta l’ascesa).
Spero che non tutto sia perduto, spero che sia ancora possibile per il Faust del terzo millennio sfuggire alle grinfie del diavolo.
Lascia un commento